
A qualche chilometro dal campo profughi dell’ ONU di Dadaab, in Sudan nel marzo del 1993, c’e’ una bambina allo stremo delle forze che si sta trascinando senza più speranza. Dietro attende, senza fretta, un avvoltoio che non le toglie lo sguardo di dosso. Davanti c’e’ un uomo inginocchiato con la macchina fotografica tra le mani. Kevin Carter ammetterà di essere rimasto venti minuti in attesa che l'avvoltoio aprisse le ali. Non le aprirà mai.
Lui scatterà lo stesso e poi rimarrà seduto sotto un albero a piangere e parlare con Dio, a pensare a sua figlia. Questa immagine diverrà nel mondo il simbolo della carestia e dalle fame, vincerà il premio Pulitzer nel 1994. A chi gli chiese in seguito se la bambina fosse sopravissuta, se dopo aver scattato l’immagine, la soccorse, Kevin non risponderà mai. Non seppe mai che fine fece .Quella bambina diventò il suo incubo. Anni dopo ad un famoso fotografo italiano fecero la stessa domanda. Dopo aver scattato l’immagine aveva salvato i bambini ripresi? Lui rispose che ci provò, che posò la macchina e si chiese cosa fare. Fu bloccato da un medico che gli disse risoluto che se era un fotografo, quello doveva impegnarsi a fare.
Fai quello che sei venuto a fare, e fallo meglio che puoi.

Nel luglio del ’94 Kevin Carter morì suicida.
(fonti trovate sul web – foto di Kevin Carter)
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